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Channel: Gli Stati Generali
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Scrambled eggs

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“An innovative project like the Darwin Centre deserves to be housed in an iconic building. The new Darwin Centre building will feature a 65-metre-long, 8-storey-high cocoon, both symbolically and actually providing protection to the collections housed within.” Neil Greenwood, Programme Director, Darwin Centre.

Non lo traduco. Tanto purtroppo si capisce, e se non si capisce è meglio. Il fatto è che non c’è pisciata di cane – sia detto con rispetto – che non meriti un edificio ‘iconico’ per quei coglioni dei Programme Directors di qualunque cosa. Ogni volta che c’è da fare qualcosa, c’è sempre un sorridente e brillante Head Manager Programme Director che t’insegna che sì, ragazzi, non c’è il minimo dubbio: qui ci vuole – lo direste mai ? – un edificio iconico. Figurati se non ci voleva qui al Natural History Museum di Londra. E tutto questo merdoso iconismo percola da ogni rametto e ogni pertugio nella sempre più decrepita Wonderland degli architetti internazionali a intridere i tessuti del sistema, e lo ritroviamo nei corsi universitari, tutti maledettamente uguali, dove studentelli imberbi dall’ingannevole educazione vomitano assurdità completamente fuori di testa sui muri delle aule, nella vana ricerca dell’inedito, del surclassante. E di certo non per colpa loro. Una tensione perenne “to stand out”, “think out of the box”, alla forma “uncompromising”, all’approccio “bold”.

Ah quanto vorrei sentire un Programme Director uscirsene con cose tipo: “Veramente abbiamo pensato che per la nostra nuova sede vorremmo un edificio normalissimo, che renda la strada migliore, e possa entrare nel cuore della gente e per questo durare generazioni sempre migliorando. Abbiamo pensato molto al piano terra, perché vorremmo che fosse come una mano tesa al passante, un invito a entrare e sentirsi a casa propria. Abbiamo pensato ai materiali, perché vorremmo che fossero prodotti in loco in modo da dare lavoro alle due fornaci e ai quattro fabbri del quartiere”. Me lo sogno di notte. Ma niente. Sai che? Abbiamo pensato che un progetto innovativo come il Darwin Centre merita di essere ospitato in un edificio iconico. Eccoci qui. Ancora.

E io ci sono andato, in quel maledetto edificio iconico. E non si può dire che fossi prevenuto. Nemmeno ne sapevo niente. Se l’avessi visto prima non ci sarei andato, una precauzione che da anni riservo a me stesso per salvarmi l’anima e l’umore. Ma l’aggressione è ovunque, non sempre puoi prevenire, schivare, omettere. E stavolta il gancio sinistro mi è arrivato inaspettato, mentre ero rilassato, e mi ha steso lasciandomi schiumante di sangue (metaforico) e bestemmie (reali). Bene io spero che voi, architetti iconici dal nome esotico, nordico e vagamente depresso, tali “rinomati” C. F. Møller Architects, ve ne andiate quanto prima all’inferno. Perchè l’inferno vi meritate per la piattezza della vostra visione e la colpevole – colpevolissima – acquiescenza verso il nemico.

Perché

‘avete cantato per i longobardi e per i centralisti

per l’Amazzonia e per la pecunia

nei palastilisti e dai padri Maristi

voi avevate voci potenti

lingue allenate a battere il tamburo

voi avevate voci potenti

adatte per il vaffanculo’

Perche’ invece del vaffanculo avete guaito come vecchie carcasse di animali affamati, in cerca dell’ultima briciola del desco dei potenti e dei loro reggicalze.

Ero felice. Giuro che lo ero. Un caldo atroce a Londra, un cielo blu, un pomeriggio libero, il sogno delle grandi collezioni dei botanici vittoriani inglesi, le infinite collezioni di farfalle accumulate in generazioni, la culla della Sistematica, il terreno dove affondò le proprie radici la più bella pianta che la scienza ci abbia mai donato – e a che prezzo – quella della teoria dell’evoluzione, la scienza della vita. Immaginavo un atrio immenso, oscuro, silenzioso. Immaginavo le migliaia e migliaia e migliaia di piastre contenenti milioni e milioni d’individui cacciati a costo delle famiglie, a costo della vita, misurati, denominati, infine catalogati. Ero pronto a piangere davanti a quella magnificenza che generazioni di uomini bassi di voce e grandi di animo avevano costruito con il loro tempo, con le loro vite, solo per permettere alla conoscenza di avanzare di un altro passetto. Non la loro conoscenza, per carità. Magari la conoscenza di qualcun altro, che sarebbe diventata di tutti. Ero pronto a piangere davanti al frutto incredibile del vostro lavoro, voi figli di Darwin, Wallace, Sloane. Voi grandi padri voi stessi, perche figli di tanto grandi. Tutto questo immenso lavoro si è nutrito di pazienza, di umiltà e di silenzio. Per decenni, per secoli. Per questo m’immaginavo questo grande atrio polveroso e silenzioso, e oscuro. E questi milioni di puntini allineati nelle loro piastre sotto vetro.

Non mi aspettavo questa puttanata da quattro soldi. Non mi aspettavo questa ideaccia da prezzo, questa trovata da baraccone. Un grande uovo di cemento chiamato “il bozzolo” (“cocoon”). Avete capito? Si parla di evoluzione. Occorre un concetto che…, evoluzione, nascita… morte… la vita……. ECCO: facciamo un UOVO. Ed ecco fatto, quello che gli architetti chiamano il “concept” (che Dio li perdoni…). Ed ecco questo tremendo spazio di completa assoluta fantasmagorica idiozia, per i tre quarti inservibile, buttato, a milionate. Dove il calore è insopportabile. Dove quel che ti fanno vedere sono tre foto e due teche in croce, giusto per farti venire la voglia. E quattro frasi ad effetto, tipo “Forse non tutti sanno che…” della Settimana Enigmistica. Tipo: “Il 90% delle specie viventi non è ancora stato catalogato”. Uno spazio che è l’antitesi dello spirito della ricerca, della volontà paziente che la guida, della grandezza sempre nascosta, sempre inespressa che le dà luce.

Viviamo una politica di battutari, un tempo di battutari, ed è forse giusto che anche ci sia inflitta un’architettura di battutari. Ridere, grazie. Sguaiatamente.


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