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Palio & Regine, Siena non è snob

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Era città di talenti, di successi e di torri. Cos’è oggi Siena per l’immaginario collettivo? Città di truffatori un po’guasconi e ora pure di snob, perché ha detto no grazie alla regina Elisabetta.

Novant’anni di vita la prima, in mezzo decennio è crollata la storia degli invitati: il Monte trasformato in severa pianura, l’università percorsa da beceri e gestita da ladri, il Comune in mano a una manica di indegni, stavolta simpatici punto.

Come ha reagito la società civile? C’è stata una scossa? Poco. Il senese quando fuori è tempesta si chiude in casa, perché la città nonostante i giornali e le televisioni con gli occhi sgranati ancora è austera di modi, ancora è pudica nelle proprie manifestazioni. Ci si fa gli affari propri, così era anche nella Siena da bere targata Mussari e banca Monte Paschi in borsa valeva un caffè per te, per la famiglia, per gli amici e pure per gli amici degli amici.

Solo qualcosa smuove il senese dalla propria serenità, solo qualcosa ne accende l’animo come nessuna complessità del mondo riesce: il Palio.

Attenzione, dice l’adagio, non pensate di capirci qualcosa se non siete di qui, non abbiate la presunzione di commentare se non sapete i termini della questione. Lo scrivente è nato tra queste quattro mura, e lo stesso il dito trema sulla tastiera.

Il punto è che a Siena mai è un fatto di bianco e nero quando si parla di Palio. Non a caso i saggi la definiscono la “corsa dell’anima”, perché in quell’anello guardato dalla Torre del Mangia in cui i cavalli corrono c’è un po’ un sunto della vita, con le sue curve, le sue salite e le sue discese, le sue strategie. Può l’anima essere bianca o nera? No, evidentemente.

Allora, quello che i media non hanno compreso nel “Royal affair”, tratteggiandolo come un rifiuto alla regina, il no al compleanno in salsa British come manifestazione di snobismo, è che c’è un problema di democrazia da molti ignorato.

La città, sulla vita, discute in Contrada. Ci si trova e si parla del mondo, nessuno escluso. Il respiro che tutto muove e tutto disegna sono i colori del luogo in cui nasci, o cresci, alla fine muori perché tutto ritorna, tutto si affronta in nome di una visione sì, ragazzi, condivisa.

Rivali sul campo le contrade difendono una tradizione, uno stile di vita dove tutti si è uguali e si ha uguali diritti, che si faccia il dirigente di banca, lo spazzino o il broker.

Sulla regina, su quella parata di un’ora e mezza, le assemblee di contrada non hanno parlato. Non c’è stato il tempo.

Eccoli, i motivi etici segnalati dal Magistrato delle contrade -l’organo di autodisciplina del Palio- alla base dell’impossibilità: il mancato realizzarsi di un processo democratico inattaccabile, il mancato dialogo tra i primi attori di questa vicenda.

Poteva sembrare un fatto di giocolieri, una storia di soldi. Di bianco e nero, appunto.

Invece, è soprattutto una storia di democrazia. 

Quella che nessuno ha raccontato.

 


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